Oltre lo Specchio

PROLOGO

Luce. Buio. Poi ancora luce.

 

Ormai sono pochi quelli tra voi che ancora cercano di riconoscere il profilo delle montagne o l’andamento delle colline che vi circondano. Qualunque sia il luogo in cui vi trovate, non ha importanza.

Nei pochi effimeri sprazzi di realtà concessi, circondati da quel particolare sfarfallio dell’orizzonte che aveva iniziato a manifestarsi quando il buio calava in pieno giorno, avete più volte cercato di riepilogare mentalmente gli avvenimenti passati. Ma quando si erano verificati? La scorsa notte? Una settimana fa? La Luna passata?
Privati della consueta durata del giorno e della notte, senza i morsi della fame a scandire il passare del tempo, né la sete a rendere più pesanti le ore, è impossibile capirlo. Qualcuno afferma di aver visto una Luna perfettamente piena e, dopo al massimo un paio di luci ed un solo buio, un nuovo astro notturno. Molti però iniziano a sentire più fresco da un po’ di tempo a questa parte; forse è addirittura passata una stagione. 

 

È mentre cercate certezze in alcune di queste ipotesi, in una delle ormai sempre più frequenti manifestazioni della realtà, che accade qualcosa di nuovo: una dozzina di Elfi Oscuri, in armatura completa e con armi avvelenate, appaiono apparentemente dal nulla e, nella mischia, riescono a disperdervi. Nel bel mezzo dello scontro, però, svaniscono e, purtroppo, non da soli: ad un rapido appello, infatti, due di voi non rispondono al richiamo ed il buio torna ad avvolgere ogni cosa.     

 

Quando la realtà si manifesta nuovamente, lo fa sotto forma di una radura uguale a tante altre; popolata da un piccolo accampamento, da qualche nuovo “prigioniero” e, ovviamente, da voi. Tutti voi. 

I due che erano stati catturati durante l’incursione degli Elfi Oscuri erano stati evidentemente rilasciati ma, se i vostri volti sono illuminati dal sorriso, le loro espressioni restano vacue e il loro corpo scosso in ogni fibra. Ci vuole qualche ora perché i vostri compagni si calmino e riconoscano i vostri volti come amici. Tempo nel quale i nuovi prigionieri raccontano di essere stati colti di sorpresa da un gruppo di viandanti incappucciati e recanti una strana lanterna, tempestata di gemme: parole già udite in passato e non difformi da quanto vi aspettavate di sentire. 

Ciò che invece vi sorprende è il racconto dei vostri compagni riapparsi. Tra balbettii terrorizzati, i due vi riportano che, dopo essere stati catturati nella mischia, si erano risvegliati con polsi e caviglie vincolate a una tavola di legno ed di essere stati sottoposti ad orribili esperimenti. Sedute simili a torture durante le quali un cerusico e un alchimista avevano letteralmente “giocato” con i loro organi, privandoli della vista e poi rendendogliela, aprendogli pancia e torace, testando sostanze e chissà cos’altro. Poi si erano ritrovati, disorientati e impauriti, in mezzo a voi. 

Qualcuno cerca di rincuorarli ripetendo loro che non accadrà più nulla di male e che ora sono al sicuro ma, nuovamente, il gruppo di Elfi Oscuri appare alle vostre spalle e vi attacca di sorpresa. Questa volta il buio avvolge la mischia ben prima che vi siano vinti o vincitori.

 

Alla luce successiva, altri due di voi, terrorizzati e capaci a stento di riconoscervi, sembrano essere tornati da un’atroce prigionia. Anche loro raccontano una storia assai simile a quella già udita ma, questa volta, gli Elfi Oscuri che si adoperavano sui loro corpi erano in quattro e non solamente in due. 

Dopo quell’episodio, per un altro paio di volte, il buio e la luce si erano avvicendati con gli ormai consueti cambi del paesaggio. Anche in queste occasioni, la realtà era svanita in uno sfarfallio di luce; fenomeno che, a detta di alcuni, si era fatto più intenso e prolungato.

 

La successiva incursione degli Elfi Oscuri si realizza in un paesaggio spettrale: una palude morente e invasa dalla nebbia. Stavolta sono quattro i compagni sottratti alla protezione delle vostre armi e dei vostri Prodigi, compagni che vi vengono resi dopo un nuovo sfarfallio, usualmente disorientati e impauriti.

 

Tristemente, nel giro di poco, queste retate iniziano a diventare la norma e sempre più di voi si trovano ad essere passati sotto i ferri dei vostri carcerieri e torturatori. 

Quando tali vittime sono ormai diventate una quindicina, un nuovo risveglio, in quello che sembra un piccolo villaggio alle pendici di un’alta montagna, si popola di strane figure: aloni scuri e indistinti che camminano tra voi, ignorandovi come se non esisteste. 

Alcuni cercano di trattenerle, di catturare la loro attenzione, arrivando ad uralare loro contro nella vana speranza di ottenere una qualche risposta, una mano tesa, un aiuto. Ma queste ombre sono del tutto assenti: alcune di loro vi passano attraverso, altre sembrano incontrarsi e riconoscersi, salutarsi, fermarsi per qualche momento tra loro e poi riprendere il loro vagare. 

Forse bisognerebbe osare di più, magari con un Prodigio, ma il buio vi impedisce, ancora una volta, qualsiasi interazione.   

 

Alla nuova luce il paesaggio è cambiato: stavolta è un piccolo porticciolo, anche questo reso vivo dalle ombre già incontrate. Stavolta, però, dopo aver cercato un contatto arrivando persino a sguainare le armi, qualcuno di voi si accorge che tali essenze non emettono alcun rumore e sembrano parlare tra loro. In alcune di esse è infatti possibile riconoscere fattezze umane, elfiche, naniche e orchesche ma non un singolo suono è percepibile, anche quando le loro labbra si muovono come a voler produrre parole. Qualcuno azzarda addirittura che si tratti degli abitanti di quel luogo.

Presi da questo nuova sfumatura di un quadro ancora troppo abbozzato, quasi non vi accorgete che strane tumefazioni filiformi sono apparse sul volto dei primi tra voi che erano stati rapiti e torturati. Ad una prima analisi, sembrano solo cicatrici delle ferite più superficiali ma, al tocco, tali rilevatezze appaiono innaturalmente dure e nodose. È durante queste valutazioni che il buio avvolge nuovamente tutti voi. 

 

Al reilluminarsi della realtà, una distesa d’erba si spinge fino all’orizzonte, salendo dolcemente fino al crinale di una collina. Da lì, una figura umanoide vi osserva, immobile. Alcuni tra voi le si avvicinano ad un passo più svelto di altri ma, quando la distanza è sufficiente a capire che si tratta di un Elfo Oscuro, apparentemente disarmato e vestito unicamente da una lunga tunica e da un mantello, i loro passi si arrestano in un misto di rabbia e preoccupazione. Le “avanguardie” si lasciano allora raggiungere e, ricompattato il gruppo, tornano con maggiore cautela ad avvicinare quella figura. 

Giunti ad un tiro di fionda, però, l’Elfo Oscuro pronuncia alcune parole, scatenando il caos: i vostri compagni, quelli che erano stati imprigionati e sottoposti alla tortura, sguainano le armi o iniziano a produrre Prodigi. Come posseduti da un volere che non appartiene loro, iniziano ad attaccarvi ma, fortunatamente, il buio avvolge ogni cosa prima che sia necessario contare morti o gravi feriti. 

 

Alla nuova luce, quelli che avevano mosso le armi contro i loro compagni sembrano tornati in sé ma il loro volto appare molto più marcatamente segnato. Allo stesso modo di tutti gli altri torturati: di certo, non può trattarsi di una coincidenza. 

Come se non bastasse, all’appello, questa volta, mancano molti più di quattro o cinque di voi ed i buio, quasi beffardo, non tarda ad arrivare. 

 

La realtà si manifesta quindi più volte, ma solo per fugaci istanti. Esattamente il tempo necessario affinché altri di voi vengano rapiti e poi rilasciati, finché quasi tutti tra voi non vengono segnati da quelle strane rilevatezze che, per qualche motivo, vi pongono sotto l’influenza dei vostri rapitori. Un giogo che vi obbliga ad eseguire qualunque ordine impartito da chi vi ha in pugno, senza possibilità di sottrarglisi o di scappare.

 

Ancora una volta luce. Poi buio. Poi ancora luce.

 

Nel riaprire gli occhi, superato un primo momento in cui il vostro sguardo è accecato dal pesante sfarfallio che ormai accompagna ogni rimanifestarsi della realtà, il profilo del paesaggio, la conformazione del territorio e la vegetazione intorno a voi risultano stranamente familiare ai vostri occhi. Immediatamente percepite di essere già stati in quel luogo e quando, nel guardarvi intorno, scorgete un’alta costruzione in pietra, una forte consapevolezza vi assale: siete tornati nel luogo in cui siete stati catturati. Siete nuovamente a Colle Spezzato.

EPILOGO

Il Concetto di Memoria Ancestrale si staglia tra di voi, le mani su di una sfera lucente, il Nucleo di Controllo dell’Artefatto che vi ha imprigionato chissà quanto tempo addietro.

Mentre mormora frasi spezzate, gli altri due Concetti, Riparazione e Controllo si pongono tra voi ed un’orda di Frammenti, Riflessi e Schegge, cercando di portare a termine il loro ultimo compito, l’evacuazione forzata dei presenti a causa del collasso imminente dell’Artefatto.

Le creature nate dalla frantumazione degli antichi incanti dell’Artefatto si avventano sui Concetti Funzionali, abbattendo Riparazione e Controllo in brevi istanti, per poi circondarvi lentamente fino a pressarvi contro Memoria.

L’ultimo Concetto rimasto inizia a pronunciare una frase, ma la prima parola non è ancora completa che già affoga in rantolo ed un ringhio: il Mietitore appare alle sue spalle, divorandolo in un mare di schegge infrante, che vi trafiggono in una esplosione vorticosa e terribile, mentre le vostre teste pulsano all’improvviso di un’agonia enorme e terribile.

Il dolore nelle vostre teste è quasi il benvenuto nonostante la sua tremenda intensità, quantomeno distoglie la vostra mente dallo sforzo di dare un senso alla realtà che vi circonda, realtà che si frantuma di fronte i vostri occhi, spezzandosi in innumerevoli specchi che riflettono all’infinito le vostre espressioni agonizzanti.

Buio, che brucia lo sguardo più del sole stesso.

Freddo, così intenso da bruciare.

Quando aprite gli occhi, intorno a voi aleggia una foschia densa ed inquietante.

Vi rialzate, rendendovi conto di essere stati abbattuti al suolo come erba schiacciata dal vento.

Il vostro corpo è una sinfonia di dolori e lacerazioni, siete coperti da innumerevoli minuscoli tagli, ed ognuno di essi brucia come il taglio di un rasoio.

Intorno a voi centinaia di orme si allontanano, come onde in uno stagno, in lontananza un numero impressionante di Radicati marcia risoluto come nubi di tempesta, dandovi le spalle.

É la fame a farvi finalmente comprendere di essere tornati nel mondo reale, mentre la desolazione intorno a voi racconta di come qualcosa di tremendo sia accaduto.

Dopo esservi fatti forza iniziate ad incamminarvi verso le terre civilizzate, cercando aiuto.

Per due giorni non incontrate nulla di vivo a parte voi e le piante, ma le carcasse degli animali raccontano bene cosa sta succedendo, i Radicati sono in preda ad una furia omicida tale da ammazzare qualunque cosa incontrino.

Vi rendete conto anche di altro: i viticci e le radici che erano cresciute nel vostro corpo avvizziscono e muoiono rigettati nell’arco di qualche giorno dal vostro corpo con squassanti colpi di tosse, dissenteria e cisti vescicali, fino a svanire senza lasciare traccia alcuna.

Proseguite nel cammino, sfruttando l’unico vantaggio che la furia dei Radicati vi sta donando: una strada sgombra dai pericoli.

Ormai siete nel confine delle Terre Conosciute quando intravedete i primi avamposti della civiltà,

abbandonati, avvolti da viticci e rampicanti, con chiari segni di conflitto e fuga.

Stremati, perdete il conto dei giorni, ma proseguite verso l’unico luogo che sperate possa ancora accogliervi, la città di Mordirovo.

Finalmente la devastazione lascia il passo a casali, paesini e fattorie, chiaramente abitati ed altrettanto chiaramente pesantemente difesi e del tutto inospitali, ma almeno tirate un sospiro di sollievo, qualunque cosa abbiate scatenato, non ha cancellato le terre conosciute dalla faccia di Talsea.

Solcando l’ultima collina giungete infine in vista di Mordirovo, dove siete accolti da un drappello di armati che vi scorta all’interno delle fortificazioni.

Su ordine del Balivo venite ricoverati presso l’ospedale della Cittadina, dove vi vengono prestate le prime cure, con il monito di rimanere buoni e tranquilli nelle mura della città e che qualunque tentativo di lasciarla sarà visto molto male.

Di fatti il Balivo, dopo una breve visita all’ospedale, vi dice: “Sono accaduti fatti molto strani, e dalle condizioni in cui vessate ritengo che in qualche modo ne abbiate avuto a che fare. Prima di lasciarvi correre in giro a ficcarvi in altri guai ho bisogno che mi raccontiate tutto, ma ora pensate a guarire. E non provate ad andarvene dalla città, non che possiate andare lontano, nelle vostre condizioni…”